Benefici delle reti di imprese

di Luciano Consolati  (l.consolati@consolatigroup.com)  

Appare evidente come le spinte ad intraprendere un percorso di rete di imprese sono numerose, ma tutte frutto della volontà di avviare col­lab­o­razioni su pro­grammi con­di­visi: inno­vare, puntare sulla sosteni­bil­ità ambi­en­tale, ampli­are o inter­cettare una nuova domanda, aprirsi ai mer­cati esteri, razion­al­iz­zare i pro­cessi, miglio­rare la logis­tica. Tutto ciò gra­zie alla pos­si­bil­ità di met­tere a fat­tor comune infor­mazioni, com­pe­tenze e know-how, pur man­te­nendo, al con­tempo, l’autonomia impren­di­to­ri­ale, ele­mento ‘cul­tural­mente’ ancora fon­da­men­tale per le nos­tre MPMI.

Si pensi per fare un esempio all’innovazione, tradizionalmente intesa come pro­cesso lineare di progresso tecnologico, che in realtà è interessata da una continua evoluzione che ne fa l’espressione di processi complessi e interattivi, che sempre più spesso vedono la collaborazione tra at­tori diversi.

Si pensi anche all’internazionalizzazione, che oggi è un must per le imprese che vogliono riuscire a sopravvivere. Infatti, i processi di globalizzazione e apertura dei mercati hanno sconvolto gli schemi tradizionali della competizione economica ed aumentato la complessità dei sistemi economici.

Entrare in un nuovo mercato, soprattutto se straniero, può comportare non poche difficoltà. Ci possono essere barriere all’entrata, vincoli legali, e in ogni caso ci sono costi di informazione relativamente ampi.

Le reti possono essere la vera risposta alle multinazionali, proponendosi come modelli organizzativi che mirano all’internazionalizzazione, evitando l’integrazione proprietaria Inoltre parlando di internazionalizzazione per le MPMI si deve partire  dal presupposto che ormai da tempo la nostra economia si basa su un modello organizzativo  di  filiera, anche  i distretti, si  sono trasformati in filiere multi localizzate, con Reti che si propagano a scala internazionale verso monte (tecnologia, approvvigionamenti, lavorazioni conto terzi) e verso valle (distribuzione,  servizi al cliente).

In uno scenario economico sempre più globalizzato e competitivo, quindi, la rete può rappresentare per le imprese un’opportunità per  penetrare in nuovi mercati esteri che rappresentano, ormai, sbocchi commerciali sempre più vitali, ma che una impresa di micro, piccole e medie dimensioni da sola non potrebbe raggiungere.

 

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L’evoluzione delle reti di imprese

di Luciano Consolati  (l.consolati@consolatigroup.com)  

L’evoluzione delle reti

L’aggiornamento al 2016 dei dati disponibili dal registro imprese Unioncamere evidenziano come al 3-02-2016 risultavano registrati in Camera di Commercio a scala nazionale 2643 contratti di rete in cui erano coinvolte 13.214 imprese.

Più della metà delle reti vede la partecipazione di 3 (31,4%) o 4 imprese (21,3%), industria (35,4%) e servizi (37,0%) rimangono di gran lunga i settori di attività prevalenti tra le imprese che aderiscono ai contratti di rete, ma sono in crescita anche i soggetti attivi nel commercio (11,3%), nelle costruzioni (11,1%) e soprattutto nell’agricoltura, che sebbene rappresenti ancora una quota minoritaria (3,8%), nel corso degli ultimi due anni ha visto più che raddoppiare il numero di imprese coinvolte.

Il contratto di rete, quindi, sembra porsi come strumento utile a risolvere alcune problematicità legate alla competitività delle micro e piccole imprese, in particolare per quanto attiene i processi di innovazione e di internazionalizzazioni.

Le micro- piccole e medie imprese (MPMI), infatti, possono raggiungere attraverso la partecipazione al network, vantaggi derivanti da:

1) economie di scala;

2) economie di specializzazione;

3) riduzione dei costi di transazione;

4) sviluppo di una produzione condivisa.

Per quel che riguarda il primo punto, si ricorda che “i vantaggi della produzione su larga scala” sono noti in relazione ad una riduzione dei costi unitari di produzione. Per quel che riguarda il secondo punto, si evidenzia che le reti permettono forme di divisione coordinata del lavoro che consentono specializzazione flessibile, in grado di adattarsi, meglio delle grandi imprese, ai mutamenti tecnologici e ad altri shock esterni

Il terzo profilo pone l’accento sull’importanza dei costi di transazione. Unendosi in una rete, un’impresa può incrementare il proprio potere di mercato, e di conseguenza il proprio potere contrattuale. Inoltre, le reti comportano una riduzione dei costi di transazione propriamente detti. Instaurare una relazione duratura con altri soggetti riduce sia i costi di ricerca dei partner che quelli relativa al raggiungimento di un accordo. Ed infine, come già citato, si ricorda la possibilità di avviare una produzione ex novo di beni o servizi sulla base del vantaggio competitivo dato dalla cooperazione.

Il contratto di rete comporta quindi una serie di vantaggi, tra cui quello di condividere know-how, progetti di ricerca, strategie di sviluppo aziendale, miglioramento delle performance aziendali con altre imprese anche se geograficamente distanti

La condivisione si può basare su risorse materiali, ma anche su risorse immateriali, come possono essere brevetti, conoscenze e soprattutto il Know How. La ricerca di conoscenza può essere molto costosa, ed inoltre, è caratterizzata da un alto tasso di rischiosità. In contesti molto competitivi il reperimento di conoscenza può essere così costoso da rendersi difficilmente ottenibile, se non totalmente irreperibile dalle MPMI. Per rendere disponibile tutte queste risorse le MPMI possono far ricorso alla rete. La rete, infatti, è un ottimo strumento di circolazione della conoscenza, che essa sia diretta o indiretta. Le imprese che collaborano, infatti, possono avere accesso a conoscenze che rappresentano un surplus nel vantaggio competitivo.

 

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Quanto è difficile fare rete con altre imprese?

Il Dr. Luciano Consolati risponde alla domanda più frequente dei nostri lettori:

Per rendere più efficace il percorso di riposizionamento competitivo delle nostre micro e piccole imprese, bisogna distinguere gli aspetti formali da quelli sostanziali: fare rete è determinante per la sopravvivenza di gran parte delle nostre MPMI, farlo attraverso un contratto può aiutare ma non è una precondizione assoluta.  Generalmente, la legge arriva a ratificare sul piano formale sistemi di relazione che emergono, nella realtà, in modo informale o sotto altro nome.
Le reti (di fatto) nascono come sistemi di divisione del lavoro cognitivo, tra partner che stabiliscono tra loro un rapporto stabile e affidabile, che si riproduce nel corso del tempo. Quando ce la fanno ad emergere e a resistere, le reti hanno due grandi vantaggi. Prima di tutto, permettono alle parti la reciproca specializzazione e dunque economie di scala nella produzione e nell’uso della conoscenza. In secondo luogo permettono di ampliare il bacino di uso e dunque il valore delle buone idee, che, appoggiandosi alle reti, possono scavalcare i confini aziendali, locali, settoriali. Le reti (di diritto), secondo la nuova normativa, sono libere associazioni di imprese che si mettono insieme per realizzare il progetto o per qualche altro scopo condiviso.

Il contratto di rete, in altri termini, può definire diritti e obblighi tra le parti, in funzione dello scopo, ma può anche essere soggetto giuridico riconosciuto rispetto ai terzi e alla pubblica amministrazione, compreso quella fiscale. Per i policy-maker oggi la pri­or­ità non è più soltanto favorire la dif­fu­sione dei Con­tratti di rete ma sostenere la loro qual­i­fi­cazione.

Sul ver­sante dell’organizzazione e della gov­er­nance delle reti, i prossimi mesi rap­p­re­sen­tano un banco di prova deci­sivo per lo stru­mento del Con­tratto di rete. A par­tire dalle nos­tre imp­rese. È il momento che tutto il sis­tema impren­di­to­ri­ale acqui­sisca la con­sapev­olezza dei van­taggi legati al con­tratto di rete, per essere in grado di poterlo uti­liz­zare al meglio: non avendo come fine l’agevolazione, ma inten­den­dolo – sulla scia delle migli­aia di imp­rese che già lo hanno atti­vato – come stru­mento per lo sviluppo di un’ulteriore prog­et­tual­ità comune nel campo dell’innovazione, della sosteni­bil­ità, dell’internazionalizzazione.

In questo senso, sarà fon­da­men­tale poten­ziare al mas­simo i servizi di sen­si­bi­liz­zazione e formazione a favore di questo stru­mento. Un’attività che deve svilup­parsi sec­ondo net­work cap­il­lari ‘di prossim­ità’, facendo leva sullo sforzo di tutti gli attori dello sviluppo locale (a par­tire dalle Camere di com­mer­cio e dalle asso­ci­azioni impren­di­to­ri­ali, in stretta col­lab­o­razione con il mondo delle pro­fes­sioni), mossi dall’obiettivo di pro­muo­vere le reti, offrire know-how spe­cial­is­tico per avviare e gestire le dinamiche di aggregazione tra imp­rese.

Ringraziamo il Dr. Consolati per questo stimolante contributo. Chi volesse approfondire i ragionamenti può inviargli una email a: l.consolati@consolatigroup.com 

 

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Il punto sulle reti d’impresa a inizio 2016

Dopo un paio d’anni passati a studiare il fenomeno tutto italiano delle reti di impresa, ritorniamo a pubblicare commenti e analisi grazie all’aiuto del Dr. Luciano Consolati, grande esperto della materia, che gentilmente ha condiviso con noi le sue riflessioni sul tema:

Il contratto di rete nasce giuridicamente nel 2009, da allora sono stati stipulati circa 2600 contratti a scala nazionale, con circa 13.000 imprese coinvolte , a con­ferma della valid­ità di tale stru­mento di polit­ica indus­tri­ale: mod­erno per­ché in grado di rispon­dere alle attuali esi­genze di ripo­sizion­a­mento com­pet­i­tivo del sis­tema pro­dut­tivo ital­iano ma, allo stesso tempo, diret­ta­mente ricol­le­ga­bile alle tradizion­ali relazioni di col­lab­o­razione pro­prie dei nos­tri dis­tretti/sistemi industriali industriali.

L’elevata e dif­fusa atten­zione che il tes­suto pro­dut­tivo sta mostrando nei con­fronti di tale stru­mento spinge tut­tavia a riflet­tere sul suo carat­tere strate­gico, sulle modal­ità per ren­derlo sem­pre più rispon­dente alle esi­genze delle imp­rese. Oggi la pri­or­ità non è più soltanto favorire la dif­fu­sione dei Con­tratti di rete ma sostenere la loro qual­i­fi­cazione, a par­tire dalle for­mule di aggregazione già pre­senti e mag­gior­mente dif­fuse, ovvero le reti di pro­duzione lungo le fil­iere di sub­for­ni­tura. Il contratto di rete comporta quindi una serie di vantaggi, tra cui quello di condividere know-how, progetti di ricerca, strategie di sviluppo aziendale, miglioramento delle performance aziendali con altre imprese anche se geograficamente distanti.

Appare evidente, quindi, come le spinte ad intraprendere questo percorso sono numerose, Le moti­vazioni strate­giche che hanno spinto tante pic­cole e medie imp­rese a per­cor­rere questa strada sono tutte frutto della volontà di avviare col­lab­o­razioni su pro­grammi con­di­visi, mon­i­tora­bili e ver­i­fi­ca­bili: inno­vare, puntare sulla sosteni­bil­ità ambi­en­tale, ampli­are o inter­cettare una nuova domanda, aprirsi ai mer­cati esteri, razion­al­iz­zare e ren­dere più effi­ci­enti i pro­cessi, miglio­rare la logis­tica.

Ma non solo. Nello sce­nario attuale, a queste bisogna affi­an­care lo sviluppo delle reti della conoscenza e del trasfer­i­mento di tec­nolo­gia, come pure di quelle che pun­tano sulla sper­i­men­tazione con­giunta di inno­vazioni di processo o di prodotto, sul miglio­ra­mento delle strate­gie di comunicazione & branding, sul raf­forza­mento della pre­senza all’estero attra­verso la piena val­oriz­zazione dei saperi e delle tradizioni pro­dut­tive dei nos­tri ter­ri­tori.

In uno scenario economico sempre più globalizzato e competitivo, quindi, la rete può rappresentare per le imprese un’opportunità per uscire dal mercato nazionale e penetrare in nuovi mercati esteri che rappresentano, ormai, sbocchi commerciali sempre più vitali, ma che una impresa di micro, piccole e medie dimensioni da sola non potrebbe raggiungere.

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Si può replicare la Silicon Valley?

Un video del Financial Times spiega l’unicità della Valle ma anche quali altri luoghi stanno diventando poli di attrazione per le start-up tecnologiche:

Duplicating Silicon Valley

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Unicredit entra a far parte del Lombardy Energy Cluster

Unicredit è tra le prime banche in Italia a diventare socio istituzionale di un cluster industriale, il Lombardy Energy Cluster che aggrega un centinaio di imprese fornitrici di prodotti e servizi per la generazione e la distribuzione di energia da fonti tradizionali e rinnovabili. Obiettivo dell’operazione è rafforzare il rapporto tra il sistema bancario e un distretto con un indotto di quasi 9 miliardi di euro, 21 mila addetti e una quota di export intorno al 70% del fatturato.

UniCredit intende fornire a tutti gli imprenditori del distretto supporto finanziario e accompagnarli in un percorso di crescita oltre i confini nazionali, grazie alla presenza diretta in 20 Paesi e una rete internazionale complessiva distribuita in circa 50 mercati.

Per le aziende del distretto, fare squadra con le banche non è più solo un’opzione, ma una scelta obbligata di fronte a concorrenti che si presentano ai clienti non solo con i propri prodotti, ma con tutto il loro sistema di istituzioni politiche e finanziarie.

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Idee, Progetti, Programmi per Cultura, Creatività e Lavoro

Se ne parlerà a Milano il 20 giugno in una giornata nella quale saranno presentati i risultati del lavoro svolto dai giovani selezionati durante i Creative Camp del progetto CCAlps -Creative Companies in Alpine Space.

Nel pomeriggio si discuterà di programmi e politiche per le Imprese culturali e creative in Lombardia e in Europa, anche con riferimento alle politiche e ai progetti europei in corso come il tavolo Mi.Lo. su incubatori e strutture di coworking gestito dal Settore Sviluppo Economico della Provincia di Milano nell’ambito del Progetto InCompass.

Appuntamento alla nuova sede della Regione, Sala Marco Biagi, Piazza Città di Lombardia (ingresso N4).

Il programma completo è disponibile qui.

Per registrarsi al convegno scrivere a: ccalps20giugno@gmail.com

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Cluster di eccellenza nella filiera lattiero-casearia delle aree montane

 Cluster di eccellenza è un progetto di ricerca finanziato dalla Regione Lombardia, finalizzato alla sinergia tra la produzione agroalimentare e la ricerca medico scientifica. Oggetto della ricerca, condotta dall’Università di Pavia e dall’Università Statale di Milano, è stata la valutazione delle proprietà antiossidanti individuate nelle produzioni lattiero-casearie tipiche della montagna lombarda. Come effetto collaterale della ricerca, è emerso che il consumo di alcuni formaggi abbassa il livello di colesterolo nel sangue, contrariamente all’opinione comune diffusa. I risultati positivi hanno dimostrato la tesi di partenza, che riconosce al consumo di formaggi proprietà salutistiche inaspettate e di straordinaria portata.

Lo studio è stato effettuato su 30 formaggi prodotti in Val Brembana, valle in provincia di Bergamo tradizionalmente votata alla produzione casearia, suddivisi in 3 tipologie (caprini, stracchini e Formai de Mut dell’Alta Valle Brembana DOP, un formaggio tipico della zona). Le proprietà antiossidanti, riscontrate in parte dei campioni analizzati, sono probabilmente riconducibili all’alimentazione degli animali.

A fronte degli incoraggianti risultati, che attestano la correlazione tra le condizioni ambientali di allevamento degli animali e la presenza nei prodotti lattiero-casearii di composti a influenza positiva sulla salute dei consumatori, il progetto si pone ora un secondo ambizioso obiettivo, ovvero quello di divulgare e trasferire le buone pratiche produttive a tutti i produttori del settore. In tale direzione vogliono andare una serie di attività di alta formazione, condotte su un pubblico trasversale di produttori, ristoratori, commercianti e giovani diplomati e realizzate in collaborazione con la Comunità Montana della Val Brembana, grazie alla quale si è ottenuto un forte coinvolgimento del territorio.

Giunti ora nella fase conclusiva del progetto triennale, di cui l’agenzia di formazione e sviluppo Prodest è stata capofila, tutti i partner coinvolti esporranno i risultati delle ricerche medico-scientifiche in un convegno, che si svolgerà venerdì 24 maggio presso l’Istituto Giulio Natta di Bergamo.

Per conoscere il programma completo dell’evento cliccare qui. Per partecipare, registrarsi cliccando qui.

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I cluster e il loro contributo all’innovazione nelle imprese

Venerdi 10 maggio  si terrà a Milano il workshop dal titolo “I cluster e il loro contributo all’innovazione nelle imprese” .

L’iniziativa, organizzata dal settore Sviluppo Economico della Provincia di Milano in collaborazione con Eurosportello – Unioncamere Veneto, fa parte del progetto europeo CNCB (Cluster and Network Cooperation for Business Success in Central Europe) di cui la Provincia è partner.

Durante il workshop verranno illustrati casi di innovazione, internazionalizzazione e collaborazione che hanno coinvolto le imprese di cluster quali l’Energy cluster che presenterà la Piattaforma Web Based Lombardy Energy, il Parco Tecnologico Padano con il progetto“Feeding the Planet”, la Rete d’imprese Filterkit promossa da Confindustria Padova e il Centro Servizi Calza che assieme a un rappresentante dell’azienda presenterà il caso Akkua. Tra i relatori anche Luciano Consolati della Federazione Distretti ed Eleonora Di Maria dell’Università di Padova.

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Chi sono gli esperti per la certificazione dei cluster?

Abbiamo inteNuova immagine (1)rvistato Gianluca Carenzo, direttore esecutivo del Parco Tecnologico Padano,  parco scientifico e tecnologico e cluster organization nel settore agro-biotecnologie con sede a Lodi. Il Dr. Carenzo è ovviamente un esperto di gestione e valutazione dei cluster e coordina il progetto “Feeding the Planet” (Nutrire il Pianeta) per l’internazionalizzazione nei mercati emergenti delle PMI appartenenti a tre tra i principali cluster alimentari europei. Ecco cosa ci ha dichiarato:

“La questione dei cluster è relativamente recente in Italia ma sembra che si stia accettando il fatto che si tratta di uno strumento che facilita e sostiene la competitività delle PMI a livello globale. Per questo è importante iniziare nel modo giusto, cercando da subito di adottare le migliori pratiche e gli standard già sviluppati. Gestire bene il Cluster è uno degli aspetti più importanti ed è forse il maggior driver per il successo dell’iniziativa. Sono stato di recente nominato dal ESCA (Segretariato Europeo per la Cluster Analysis) in qualità di esperto per la certificazione Bronze label.

Bronzo infatti è il primo livello per la valutazione delle caratteristiche di una cluster organization. La procedura su basa su una autovalutazione da parte dei cluster manager tramite intervista strutturata e successiva comparazione con cluster analoghi. In particolare, il database ESCA, che comprende casi da tutto il mondo, consente di fare confronti diretti tra:
– cluster organization dello stesso “settore tecnologico”
– cluster organization di riconosciuta eccellenza
– cluster organization di uno stesso Paese (se i dati sono disponibili sono sufficienti).

Da queste comparazioni sistematiche, il certificatore propone delle raccomandazioni per il miglioramento della gestione del cluster e una serie di indici di qualità che possono essere utilizzati dai cluster manager. Al termine del processo, ESCA fornisce una relazione di benchmarking utile per migliorare la gestione del cluster e orientare l’evoluzione delle attività e lo sviluppo strategico. Credo molto nella validità di questo strumento e raccomando vivamente a tutti i distretti italiani di impegnarsi per ottenere la certificazione Bronze label!”.

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